Uno sguardo sulla storia della Città

La prima traccia storica dell’allora borgo di Corato (Coretum o Quarata) è del 1046, citata in un’opera redatta da Guglielmo Appulo che riporta le battaglie e le vittorie Normanne in Italia. Una cittadina fortezza, voluta così da Pietro I il Normanno, a cui fu affidata nella dieta di Melfi del 1043, inclusa nella contea di Trani, per difenderla come le altre sue città di cui era feudatario dalle scorribande saracene e da tentativi di assalto dei bizantini. La base di questa realtà era comunque una piccola ma articolata centuria romana, oltre ai vari casali presenti già prima dell’anno 1000, tra le Vie Appia e Traiana. Una fortezza turrita, che il notaio Tandoi descrive con ben 24 torrioni ed un castello sulla cui facciata fu poi scolpita la frase attribuita a Federico II “Coratum felix, orbisque uberrima tellus”. In ambito prettamente urbanistico-architettonico, la piccola Quarata si limitò ad una lenta e graduale espansione, con una migliore urbanizzazione e di conseguenza organizzazione della vita interna. A questi anni risale l’avvio e lo stanziamento, da parte del Decurionato cittadino, dei fondi per la costruzione della chiesa di Santa Maria Maggiore, prima importante ed imponente opera costruttiva dopo la fondazione della città stessa. Databili attorno all’XI-XII secolo sono anche le due chiesette monovano extra-moenia dedicate a Santa Lucia ed a San Vito. La cittadina continua a crescere e nel 1270 è attestata la presenza di circa 4000 abitanti. Il XIII secolo nella storia di Corato è segnato dal tramonto del regno normanno dei Rex Siciliae et Apuliae. Dall’ultimo re normanno, Enrico VI, e Costanza d’Altavilla nasce Federico II di Svevia, re di Sicilia e imperatore di Germania. A lui si deve la forma più moderna e progredita di amministrazione politicoburocratica del tempo: le Istitutiones Regni Siciliae che culminarono nelle Costitutiones di Melfi. Il segno che lasciò è memorabile nella serie di possenti costruzioni, castelli, corti che costruì in tutto il territorio meridionale. A Federico II, puer Apuliae, si devono il Castel del Monte, il Castello di Bari, Trani, Barletta, Taranto, Lucera, la reggia di Gioia del Colle e il possente castello di Melfi. Di Corato pare abbia detto: “terra felice e fertilissima dell’orbe”, come attesta un quadro conservato nella sala del consiglio del Palazzo di Città. Corato, dunque, nel XIII sec., era un feudo svevo, ciò comportava per il feudatario non solo l’obbligo del servizio militare e la disponibilità di tutti i propri mezzi materiali, ma anche la corresponsione di riparazioni a cui anche questa città dovette assoggettarsi. Il ruolo di feudatario di Corato era svolto, per grazia del Papa Innocenzo IV, dal marchese Bertoldo di Hodemburg. Morto Federico II, per volere della regia Curia, Corato fu affidato a Goffredo Potino, e da questo momento in poi fu sede di una serie di lotte che videro avvicendarsi i diversi re della famiglia angioina. Corato, fedele da principio a Corradino di Svevia, che per questo la definì Cor Sine Labe Doli (cuore senza macchia di tradimento) come riportato nello stemma della città, dovette pagare un augustale, ovvero 6,37 lire, a fuoco, per le spese di guerra sostenute dagli angioini. Dopo le signorie di Carlo I e Carlo II d’Angiò, fu la volta di Filippo, principe di Taranto, cui successe Roberto I, e a questi nel 1343, Giovanna I, che così diventò regina di Puglia e del regno di Napoli. Dopo due anni matrimonio col duca di Calabria, Andrea, principe di Ungheria, Giovanna decise di sbarazzarsene tramando una congiura di palazzo. Ludovico, fratello di Andrea, volendo vendicare la morte del suo congiunto scese in Italia con un forte esercito nel 1347 portando gran parte del Meridione all’assedio. Corato visse in quel periodo una delle sue pagine più crudeli ed eroiche riuscendo grazie al Capitano di ventura Andrea Patrono a respingere l’assedio degli ungheresi e dei soldati mercenari nel 1349: l’episodio è ricordato dal Notar Domenico da Gravina nel Chronicon de Rebus in Apulia gestis Ripartiti gli ungheresi fu la volta dei Sanseverino che, approfittando della ribellione di alcune terre, assoggettarono anche Corato. Nel XV secolo Corato crebbe nella popolazione ma ebbe una involuzione nella ricchezza e nel benessere sociale e politico; calamità naturali e piaghe sociali, guerre, carestie e periodi di peste completavano il quadro del territorio coratino, molto esposto. Quando il potere regio dei d’Angiò perse il controllo dei signori feudali che si accaparravano sempre più di diritti ed ostacolarono l’ascesa di una seppur debole borghesia urbana, si creò una forte disorganizzazione politica. A rappresentare il potere cittadino era l’Università di Corato, cioè un gruppo di illustri cittadini che governavano con proprie costituzioni secondo secolari consuetudini che tenevano conto di grazie, privilegi e concessioni da parte dei re che risiedevano a Napoli. Amministravano quindi sempre a nome dei re ed erano seguiti da un funzionario regio, denominato “Capitaneo” a nomina annuale,e in sede municipale (presso l’attuale zona di piazza di Vagno). Tutto ciò ovviamente in periodi di non belligeranza. Alla metà del secolo, quando la regina Giovanna I volle impossessarsi di ampie zone terriere del nord barese (inclusa quella coratina) con le città più rilevanti,queste stesse città le si dichiararono ostili: Corato subì un grave assedio da parte del ramo reale ungherese oltre alla distruzione di zone rurali produttive poiché la fazione per cui patteggiava ne uscì sconfitta. Nel XV secolo anche Corato conobbe un travagliato periodo dovuto al susseguirsi dei feudatari. Nel 1443 per volontà del re Alfonso la città fu in possesso del nobile tranese Pietro Palagano, ma a partire dal 1458, morto il re, il principe Orsini la occupò con il suo esercito, insieme ad altri borghi pugliesi. Sotto il regno di Ferrante I l’Orsini terminò le sue violente incursioni militari e ottenne nel 1462 il pieno diritto di riscossione fiscale su Corato. Nel medesimo anno, però, il principe di Taranto venne ucciso e la città diventò possesso prima del fiorentino Angelo Acciaiuoli, poi del tedesco Ruth. Il tenore di vita della popolazione pugliese andò sempre più peggiorando tanto da permettere nel 1483 la diffusione della peste, il cui morbo esplose anche a Corato mietendo centinaia di vittime. Questo tragico evento viene ricordato dalla comunità locale perché, secondo la tradizione, l’epidemia terminò grazie all’intervento miracoloso di San Cataldo. Il santo, originario dell’Irlanda, fu vescovo di Taranto durante il VII secolo e secondo la leggenda apparve a un contadino di nome Quirico Trambotto assicurandogli che avrebbe liberato la città dalla peste e richiedendo la costruzione di una chiesa in suo onore. Alla fine del secolo la situazione sociale non era migliorata, infatti, nel 1492 l’Università di Corato inviò una supplica al re Ferdinando affinché “per la extrema povertà de li citatini” le modestissime rendite del territorio, sottratta la provvigione al milite feudale, fossero assegnate alla stessa Università: il re accolse la supplica. A conclusione del ‘400 Corato entrò a far parte del Ducato di Bisceglie, il quale nel 1498 apparteneva a Alfonso d’Aragona consorte di Lucrezia Borgia. Nel XVI secolo, la città di Corato, seguendo le sorti di tutta l’Italia meridionale, visse decenni di grande incertezza politica, passando di potere in potere. E’ certo, però, che durante quel secolo l’economia della città prosperò come dimostrano evidenti testimonianze (molte ancora presenti) nel tessuto storico del centro antico: infatti, le più significative testimonianze artistico-architettoniche di Corato sono databili tra gli inizi del Cinquecento e i primi decenni del Seicento. Uno dei palazzi più conosciuti di Corato, risale proprio al 1579: si tratta di palazzo de Mattis eretto dalla famiglia Patroni Griffi; insieme ad esso, si annovera anche il monumentale Palazzo Ducale, crollato nel disastro idrogeologico del 1922. Nel 1600 la città di Corato si andava estendendo da tutti e quattro i lati delle antiche mura normanne (1046 ca.) modificando così la planimetria della città che da quadrangolare stava divenendo circolare. Corato quindi si spinse aldilà dello Stradone già nel 1605 con l’edificazione della chiesa di S. Giuseppe, voluta forse dalla categoria degli artigiani. Anche la chiesa conventuale di S. Benedetto risale al XII secolo, più precisamente al 1627, quando fu eretta sul sito di un precedente convento intitolato all’Annunziata, in perfetto stile barocco riscontrabile soprattutto nel suo campanile. Ma la storia della città e la sua crescita demografica subirono però una brusca battuta d’arresto:il trentennio che va dal 1627 al 1657 fu infatti di dolorosa storia per Corato. Un terremoto si abbattè sulla città e su i suoi monumenti proprio nel 1627 e fu tra i più disastrosi che a Corato si registrarono, mietendo numerose vittime e danneggiando anche gli edifici più imponenti. Tra questi la vecchia chiesa Matrice fu quella che riportò i danni più gravi: la volta restò pericolosamente lesionata come pure i muri perimetrali, per cui i tecnici pensarono di rinforzare tutta la fabbrica gettando un alto arco, ancora visibile, che abbracciasse la parete laterale sinistra. Ma le tragedie si susseguivano alle tragedie. Dopo il terremoto si abbattè sulla popolazione di Corato una tremenda carestia dovuta ad una devastante invasione di cavallette che distrussero campi e raccolti. La normalità alla quale poi si giunse nel tempo era destinata a durare poco. Con l’estate del 1656, e poi in quella del 1657, si ripresentò, dopo l’epidemia del 1483, la peste, più mortale e drammatica della precedente. I malati vennero portati fuori dalla città, nella chiesetta della Madonna di S. Giovanni che funse perciò da lazzaretto; anche le sepolture, vietate in paese, furono scavate poco oltre quella chiesa ed ecco perché il cimitero di Corato è poco oltre la chiesa suddetta. In occasione del contagio si sparse la voce che nel sotterraneo di una delle torri che circondavano la città fosse nascosto un quadro con l’immagine della Madonna, la quale avrebbe potuto allontanare il morbo, se venerata dalla cittadinanza. La scoperta della miracolosa immagine allontanò infatti il flagello dal paese e in seguito, nei sotterranei dell’antica torre, detta appunto “la greca”, sorse nel 1664 una bella chiesa dedicata a S. Maria Greca. La piccola chiesa venne poi rimodernata e ampliata nel 1680 con la costruzione del coro e delle cappelle laterali;solo al XVIII secolo si deve invece la costruzione del nuovo tempio dedicato alla Vergine. Cenni storici a cura della Pro Loco “Quadratum”.

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